Il lavoro del padre di Pascoli: una storia di campagna e poesia

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Chi era il padre di Giovanni Pascoli? Cosa faceva nella vita? La risposta a queste domande ci porta nel cuore della Romagna del XIX secolo, in un mondo rurale fatto di campi coltivati e di una quotidianità scandita dai ritmi della natura. Un mondo che ha profondamente segnato l'animo del giovane Pascoli, influenzando in modo indelebile la sua poetica.

Ruggero Pascoli, il padre di Giovanni, non era un uomo qualunque. Era il fattore, l'amministratore, di una grande tenuta agricola: la tenuta dei principi Torlonia. Un ruolo di grande responsabilità, che lo vedeva gestire terreni, raccolti e braccianti, in un'epoca in cui l'agricoltura rappresentava il cuore pulsante dell'economia.

Immaginate Ruggero Pascoli aggirarsi tra i filari di viti, controllare la maturazione del grano, sovrintendere al lavoro nei campi. Un uomo abituato alla fatica, al contatto con la terra, ma anche alla bellezza della natura che lo circondava. E chissà, forse era proprio lui a raccontare al piccolo Giovanni storie di animali selvatici, di alberi secolari, di notti stellate.

Il lavoro di Ruggero Pascoli, seppur duro e impegnativo, gli permetteva di garantire alla sua famiglia una vita dignitosa, in una casa spaziosa e accogliente, circondata da un ampio giardino. Un'immagine idilliaca, che però nascondeva anche le ombre di un'epoca di grandi cambiamenti sociali ed economici.

La vita del fattore, infatti, non era priva di difficoltà. Lavorare per i Torlonia, una delle famiglie più potenti del tempo, significava sottostare a rigide gerarchie, a obblighi e a condizioni spesso non facili. Un mondo fatto di sacrifici, di sudore e di incertezze, che il giovane Pascoli ha interiorizzato, trasformandolo in una sensibilità unica e in una poesia ricca di sfumature.

La figura di Ruggero Pascoli, con il suo lavoro a stretto contatto con la natura, rappresenta un elemento fondamentale per comprendere la formazione del poeta. È attraverso gli occhi del padre che Giovanni impara ad amare la campagna, i suoi colori, i suoi suoni, ma anche a coglierne le asperità, le fatiche e le ingiustizie.

L'omicidio di Ruggero Pascoli, avvenuto nel 1867, quando Giovanni aveva solo dodici anni, rappresenta un trauma profondo nella vita del poeta. Un evento che segna per sempre la sua infanzia, spezzando l'idillio familiare e gettando un'ombra oscura sul suo futuro.

La morte del padre, ucciso in circostanze misteriose mentre tornava a casa dalla famiglia, diventa un simbolo del male oscuro e inspiegabile che si nasconde dietro l'apparente serenità della vita campestre. Un tema, quello del "nido" familiare distrutto dalla violenza e dalla perdita, che ritornerà ossessivamente in tutta la produzione poetica di Pascoli.

Anche se non è possibile tracciare un collegamento diretto tra il lavoro di Ruggero Pascoli e la scelta di Giovanni di diventare poeta, è innegabile che l'ambiente rurale in cui è cresciuto, plasmato dal lavoro del padre, abbia avuto un'influenza decisiva sulla sua sensibilità e sulla sua immaginazione.

Il mondo contadino, con i suoi ritmi lenti, i suoi silenzi, i suoi misteri, diventa così lo sfondo ideale per la poesia pascoliana, fatta di immagini evocative, di suoni delicati, di un linguaggio semplice ma allo stesso tempo carico di significati simbolici.

Studiare la vita di Ruggero Pascoli, il suo lavoro di fattore, ci permette di gettare uno sguardo inedito sulla figura di Giovanni Pascoli, di comprenderne meglio le radici, le paure, le ossessioni. Un viaggio a ritroso nel tempo, alla scoperta di un mondo rurale ormai scomparso, ma che continua a vivere, con tutta la sua forza evocativa, nelle pagine immortali della poesia pascoliana.

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